Io ero nube.
Tu, donna, eri nube.
In attesa di divenire pioggia.
Un vento pigro
ci sospinse sotto questo cielo.
E qui ci incontrammo.
Unimmo.
Compenetrammo.
Noi, nuvole.
Densi, eravamo densi,
carichi di desiderio,
e di amore,
e di rabbia,
e di nostalgia.
Nostalgia
di un passato non vissuto,
non assieme.
Rabbia
per un corpo amato da altri corpi,
e desiderio.
Rabbia, nostalgia, desiderio.
Si fondono, si scontrano!
Ecco i tuoni. E l' oscurità...
I lampi ci abbagliano.
Ed è follìa.
La mia follìa.
La mia follìa è un fulmine
violento,
subdolo,
improvviso,
cresciuto nutrendosi del sospetto.
E dell' abilità di un ladro.
La mia follìa ti ha travolto.
Il fulmine ti ha percorso.
Come la scossa
in un condannato a morte.
A morte.
Amore mio, cos' ho fatto!
Amandoti ti ho ucciso!
Ma ecco che vedo i tuoi occhi
chiusi,
chiusi dal dolore,
bagnarsi di una lacrima viva,
di una lacrima inattesa.
Viva, sei viva!
La mia follìa non ti ha ucciso!
Non ti ha ucciso.
Non ora, non fuori.
Ma dentro, dentro,
cosa ti accade?
I miei occhi furtivi
hanno spiato il tuo privato,
ma non possono guardare
con la stessa spietata arroganza
dentro quel cuore solo,
compagno fedele
delle proprie cicatrici.
Amore mio,
cosa ne resta
del tuo cuore bruciato?
Batte, lo sento,
e tu mi parli.
Sei viva.
Tu sei viva.
Ma è lì,
ancora vivo,
il germoglio del nostro
amore infinito?
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